Trentasette anni fa, il 24 marzo 1980 moriva Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, colpito durante la celebrazione eucaristica da un sicario dei cosiddetti “squadroni della morte” a causa del suo impegno per la giustizia. ” Qualcuno da Roma dovrebbe andare a completare quella Messa”, commentò , lo ricordo, in quella occasione padre David Turoldo, religioso e poeta che avevo conosciuto e frequentato a Firenze nei miei anni giovanili. Non lo fecero invece neppure i vescovi salvadoregni, la maggioranza dei quali lo aveva isolato in vita e addirittura denunciato alla Santa Sede, dove avevano dalla loro parte – come ha scritto il teologo Vito Mancuso – “i cardinali di Curia López Trujillo e Castrillón Hoyos, tanto potenti sotto Woityla e Ratzinger”. Dieci anni dopo quella tragica morte sull’altare , di fronte al silenzio su Romero delle gerarchie ecclesiastiche, lo stesso Turoldo scrisse in polemica con Giovanni Paolo II del «silenzio che stazza sulla tomba del fratello Vescovo Oscar Romero, nuovamente ucciso da questo silenzio». Ci sono voluti 35 anni e il pontificato di un Papa sudamericano perché il 23 maggio del 2015 Francesco lo proclamasse beato e martire della fede. Ha dichiarato monsignor Vincenzo Paglia, il postulatore della causa di beatificazione: «Romero ha avuto scontri con il nunzio, con il Vaticano, con i poteri locali che lo definivano comunista solo perché aveva scelto di sporcarsi le mani dedicandosi all’aspetto sociale del dogma». Nel linguaggio ecclesiastico voleva dire che non si limitava a predicare i principi della morale cristiana ma faceva denunce concrete. (nandocan)
***di Massimo Marnetto, 24 marzo 2017 – Io lo ricordo sempre.
Oscar Romero è stato assassinato il 24 Marzo 1980, perché ha denunciato lo sfruttamento e la violenza dei latifondisti, ai danni della massa dei più poveri. La sua parola pubblica si levava per rendere noto a tutto il mondo questa oppressione. Le minacce né l’assassinio del suo confratello gesuita Rutillio Grande con due catecumeni chiuse la sua bocca.
I catto-latifondisti volevano che si occupasse di anime, non di giustizia sociale. Gli avevano proposto di costruirgli un palazzo sontuoso come nuova residenza, ma Romero scelse di vivere in una stanza nell’ospedale dove venivano a morire i malati della sua gente, che non aveva i soldi per curarsi. Visto che con le buone non cedeva, lo assassinarono in chiesa, mentre diceva messa. I suoi poveri lo volevano santo, ma la sua storia era troppo rivolta agli ultimi e molti lo consideravano un “comunista” non degno degli onori degli altari.
Per me Romero è il costante esempio di ciò che vuol dire essere un credente. Stare dalla parte dei poveri e impegnarsi con la “parola pubblica” per denunciare chi opprime gli ultimi.
Il cristianesimo senza lotta alle diseguaglianze è una superstizione. Riposa in pace, Romero, noi continuiamo a lottare per chi viene umiliato.















Commenti recenti