Finirà mai quella catena di provocazioni e rappresaglie che da decenni alimenta, con l’odio reciproco, il conflitto tra Israele e la Palestina? Da giugno i Territori Occupati e la Palestina ’48 (l’attuale Stato di Israele) stanno assistendo all’ennesima rottura degli equilibri. La campagna militare lanciata contro la Cisgiordania e Gerusalemme e l’attacco violentissimo contro Gaza hanno riacceso rabbie nascoste in tutta la popolazione palestinese. Non credo che se ne uscirà mai finché da una parte e dall’altra non si troveranno leader decisi ad imporre la pace contro chiunque continui a minacciarla, in casa propria o altrui. Inutile illudersi che questo possa avvenire senza restituire ai palestinesi i territori occupati nel 1967. Lo sbocco ideale sarebbe unire i due popoli in una coabitazione pacifica, fondata sull’eguaglianza dei diritti civili, laicamente consapevole che la terra è di tutti e non è stata promessa a nessuno. Ma per ora è soltanto utopia. Per ora, più che le esibizioni di forza nella spianata delle Moschee, ogni nuovo insediamento di coloni israeliani in Cisgiordania è avvertito dai palestinesi come una nuova aggressione. E non sarà mai un muro a garantire la pace. Come dimostrano i fatti e come insiste invano a ripeterci Papa Francesco, non abbiamo bisogno di muri ma di ponti. Nel febbraio del ’68, a pochi mesi dall’occupazione, ho attraversato anch’io il ponte di Allenby (nella foto), che segnava con il fiume Giordano il confine e il passaggio tra Israele e la Giordania di allora. Chissà oggi quanti palestinesi ed ebrei, nel decimo anniversario della morte di Aratafat e nel ricordo dell’assassinio di Rabin, pregheranno perché torni ad essere un ponte di pace (nandocan).
*** Da perlapace.it, 11 novembre 2014 – Lo Stato israeliano ha alzato il livello d’allerta dopo gli accoltellamenti di ieri, a Tel Aviv e in una colonia in Cisgiordania, tra Gerusalemme e Betlemme. Il portavoce della polizia, Micky Rosenfeld, ha fatto sapere che poliziotti saranno dispiegati oggi nelle città israeliane e in Cisgiordania.
Ieri un palestinese di Nablus, il 25 enne Nur a-Din Hashiya, ha accoltellato un soldato israeliano alla stazione dei treni di Tel Aviv. Il militare, Almog Shiloni di Modin, è morto nella serata di ieri per le ferite riportate. Più tardi, un altro palestinese, Maher Hashlamoun, 30 anni, residente a Hebron, ha colpito tre persone con un coltello in una fermata dell’autobus nella colonia di Alon Shvot, uccidendo una donna di 25 anni, Dalia Lemkus. Ucciso anche Hashlamoun da una guardia di sicurezza dell’insediamento israeliano.
La reazione del premier Netanyahu è stata immediata: dopo aver “invitato” gli attivisti politici palestinesi e i partecipanti alle manifestazioni dentro lo Stato di Israele a “trasferirsi a Gaza e in Cisgiordania”, una decisione che “il governo israeliano faciliterà”, sono partite le punizioni collettive.
Ieri notte il primo ministro ha dato ordine all’esercito di demolire le abitazioni dei due palestinesi responsabili degli attacchi. Una politica nota ed extragiudiziale, illegale per il diritto internazionale, ma sistematicamente applicata dalle autorità israeliane per far pagare il prezzo di qualsiasi tipo di azione alle famiglie dei responsabili. Ieri le forze militari israeliane hanno anche arrestato alcuni membri delle due famiglie: il padre e alcuni fratelli di Nur a-Din Hashiya (che stavano già svuotando la casa in attesa della demolizione) e familiari di Hashlamoun.
E se i due attacchi sembrano essere stati rivendicati dalla Jihad Islamica, a monte sta la rabbia per il deteriorarsi delle condizioni di vita della popolazione palestinese in tutta la Palestina storica: la scintilla che ha fatto esplodere le tensioni, già alte a Gerusalemme, da giorni città blindata, è stato l’omicidio a sangue freddo di un giovane di Nazareth, Khair al-Din Rouf Hamdan, 22 anni, residente nel villaggio di Kafr Kana, in Galilea. Il ragazzo è stato colpito da una pallottola a distanza ravvicinata sabato all’alba, durante un’operazione di arresto.
Da giugno i Territori Occupati e la Palestina ’48 (l’attuale Stato di Israele) stanno assistendo ad una rottura degli equilibri che per anni il governo israeliano ha tentato di mantenere per poter portare avanti indisturbato le proprie politiche di espansione territoriale e negazione dell’identità. La campagna militare lanciata contro la Cisgiordania e Gerusalemme dopo la scomparsa dei tre coloni e poi l’attacco violentissimo contro Gaza hanno riacceso rabbie nascoste in tutta la popolazione palestinese, a scapito dei tentativi della leadership di Ramallah di acquietare gli animi.
La distanza tra la base e i vertici peggiora la situazione: gran parte dell’opinione pubblica palestinese vede calpestati i propri diritti all’autodeterminazione. La conseguenza è l’esplosione della rabbia.
Fonte: http://nena-news.it















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