Roma, 5 gennaio 2014. “Non mi rassegno a un partito padronale”. Dunque, dimissioni. Non sarebbe la prima volta, ma ora sono irrevocabili. Stefano Fassina non fa proprio nulla per rendersi simpatico. Al contrario di Matteo Renzi. Una via di mezzo non guasterebbe. Ma andando al sodo e mettendo da parte i comportamenti e le attitudini individuali, penso che il sindaco abbia ragione a dire che il vice ministro ha voluto liberarsi di una carica di governo divenuta per lui, anche per divergenze col segretario, ogni giorno più scomoda.
Quanto all’arroganza di quel “Fassina chi?” pronunciato dal sindaco di Firenze, è davvero curioso che sorprenda chi ha lavorato per mesi al suo trionfo nelle primarie come qualche illustre collega della “Repubblica”. Ora se ne accorgono? “Non si può governare un partito con le battute e tantomeno con gli sberleffi”, protestano. Ma l’uomo è quello che è, prendere o lasciare. Appena eletto aveva subito dichiarato: le correnti sono abolite, a cominciare dai “renziani”, sarò il segretario di tutti, ecc. Infatti, si è visto.
Non sarà lui a far cadere il governo. Per ora vuole solo smarcarsi e lasciare intendere a tutti che con lui al posto di Enrico Letta sarebbe tutt’altra musica. Letta e Fassina l’hanno capito e piuttosto che farsi cuocere a fuoco lento lo avrebbero volentieri coinvolto con l’offerta di qualche grosso ministero ai suoi amici, come Del Rio. E’ chiaro che Renzi preferisce tenersi le mani libere, anche per non lasciare spazio alle opposizioni di Berlusconi e Grillo. Ma sa di non poterlo fare a lungo.
Il suo obbiettivo sarebbe, secondo l’odierno editoriale di Scalfari, quello di provocare la caduta del governo per iniziativa di Alfano, rimandando quest’ultimo tra le braccia del suo ex padrone. Se, dopo aver promesso di cambiare l’Italia, accettasse di “galleggiare” in compagnia di Letta, addio premiership. Continuerà quindi a sparare dall’esterno le sue cartucce, magari a salve, ma facendo più rumore possibile.
Naturalmente “sui problemi, non sulle persone”. Per esempio, sulla riforma elettorale propone il confronto su tre ipotesi, sostanzialmente le stesse di cui si discute inutilmente da mesi (o da anni). “La prossima settimana tiriamo su la rete e tentiamo di chiudere”. Giusto, tentar non nuoce. Ma la più condivisa di quelle ipotesi, quella detta del sindaco d’Italia, pare difficilmente compatibile con una repubblica parlamentare, a meno che non si voglia cambiare radicalmente la Costituzione, cosa che con un parlamento moralmente delegittimato sarebbe almeno moralmente illegittima.
Allora meglio tornare semplicemente al mattarellum, senza premio di maggioranza e con il 15% di proporzionale, come ripropone Giuseppe Civati (vedi qui accanto in proposito il suo ultimo articolo). Magari provvisoriamente, prima di eventuali riforme istituzionali. L’intesa sarebbe certamente più facile. E anche per Renzi almeno una cartuccia potrebbe andare a segno.















Io devo ancora capire dov’è il decisionismo di Renzi, quello che aveva promesso a piene mani dal primo giorno della sua segreteria. Per ora vedo solo indicazioni generiche e non impegnative, oltre a un deciso ispessirsi dell’abituale atteggiamento disinvolto che lo ha portato a riunire la segreteria nella sede del suo comitato: l’ho considerata una mancanza di rispetto verso il partito e gli iscritti. Non mi dilungherò poi sul pessimo episodio che ha avuto per obbiettivo Fassina.
In sintesi, sono ancora in attesa che il leader si manifesti o quanto meno che lanci dei segnali per farsi riconoscere.