Adriano Donaggio ripropone qui indirettamente, per la crisi greca, una questione di cui mi sono occupato più volte e cioè quella della differenza tra informare e sedurre, dove io intendo per sedurre ogni tentativo retorico di drammatizzare e comunque alterare il racconto dei fatti al fine di richiamare l’attenzione o di ottenere il consenso sul proprio punto di vista. Donaggio ne parla giustamente a proposito della comunicazione politica dei governi. Permettetemi di allargare il discorso. Guardando i titoli delle prime pagine o anche i sommari di molti tg appare evidente che, anziché sottoporre a una critica razionale e al confronto con i dati della realtà le parole della politica ( la quale in definitiva fa il suo mestiere tirando l’acqua al proprio mulino), si preferisce aggravare il danno soffiando sul fuoco a favore dell’uno o dell’altro dei contendenti. Ma non sarebbe meglio per tutti se si contestasse serenamente la retorica di ciascuno dei due? A maggior ragione quando si tratta di un conflitto di posizioni delicato e pericoloso come questo. A coprire questo ruolo si chiamano giustamente nei quotidiani principali i migliori specialisti della materia, con editoriali che, ammettiamolo, sono in pochi ad aver voglia e tempo di leggere. A mio avviso, invece, questa responsabilità e questo compito toccherebbero innanzitutto ai cronisti, e ancor più ai titolisti, se a questo fine curassero la propria preparazione e decidessero di considerarlo un dovere professionale. Perché non lo fanno? Io la risposta la conosco ( e ne ho anche scritto su questo blog) ma vorrei tanto che rispondessero loro. Infine, un invito sommesso ai direttori, in particolare a quelli dei tg. Quando si tratta di intervistare un personaggio politico, potendo scegliere tra un collega che ne condivide le opinioni e uno che non le condivide, mandate preferibilmente quest’ultimo, ovviamente anche quando voi siete più d’accordo col primo.(nandocan).
***Juncker, Tsipras e la retorica sulla crisi greca, di Adriano Donaggio , 2 giugno 2015 – Da qui alla notte del 5 luglio, quando si conosceranno i risultati del referendum indetto dal Governo greco, si o no all’accordo con l’ UE, è inutile aspettarsi vere novità. Ci saranno molte mosse tattiche, interventi retorici anche se alcuni di questi incideranno sulla realtà, anche introducendo nella prassi, e quindi nei comportamenti istituzionali, vere e proprie “svolte” storiche, ignorate e sottovalutate dai più ma tutt’ altro che prive di significato. Appartengono a quest’ ultima categoria gli interventi di Juncker che invitano i greci a votare per il sì. Si può essere d’ accordo o no con l’ indizione di questo referendum, ma che il Presidente della Commissione europea inviti a votare in un modo piuttosto che in un altro all’ interno di un singolo paese, è un inedito che non si era mai visto prima. E se domani, pur con le migliori intenzioni, pur nella ferma convinzione di fare gli interessi di un paese, la Commissione europea, o dei suoi esponenti, al momento del voto di una nazione appartenente alla UE invitasse gli elettori di quel paese a votare un governo piuttosto che un altro? Ovviamente, sempre giustificando l’ intervento dicendo che è stato fatto nell’ interesse di quel Paese e per difendere l’ Europa. Come si vede la cosa non è semplice, ma certamente è delicata.
Dichiarazioni, si dirà. Sì, ma che incidono sulla realtà (in questo caso l’ orientamento al voto). E tuttavia, questo aspetto della crisi greca, fa emergere un aspetto che in questa crisi è stato sottovaluto nelle analisi anche molto attente, molto approfondite che ogni giorno vengono sottoposte alla nostra attenzione. Quello che spesso è mancata è un’ analisi del ruolo (e della prigionia per ciascuna delle parti) che è stata creata dalla comunicazione fatta dai protagonisti di questa drammatica vicenda.
A un certo punto di questa trattativa lo si è visto chiaramente. Il fatto che i governanti tedeschi abbiano descritto ai propri elettori gli interventi a favore della Grecia come una minaccia per i risparmiatori del loro paese, ha reso poi difficile fare alcune concessioni che l’ esito della trattativa, pur nell’ oggettiva drammaticità della situazione, richiedeva.
Per converso i governanti greci, avendo descritto, vero o falso che fosse, le richieste dell’ Unione europea come un brutale atto di prepotenza, il seguito di provvedimenti imposti dall’ Europa in nome dell’ austerità, in continuità con il passato, decisioni che hanno sempre peggiorato la situazione, peraltro senza migliorare la situazione economica e finanziaria della Grecia. E, paradossalmente, con la conseguenza di una perdita di possibilità di una ripresa che meglio di una crisi di ulteriore povertà darebbe alla Grecia la possibilità di far fronte, almeno in parte, ai propri impegni internazionali.
Una volta che la gente ha assimilato in questi termini il problema è difficile per il Governo greco tornare a casa e giustificare l’ accettazione di condizioni imposte dalla UE che richiedono ulteriori sacrifici. In poche parole ciascun governo è stato vittima della drammaticità della situazione (e della storia che l’ ha generata) ma anche dal modo in cui ha descritto la crisi e i protagonisti della crisi ai propri elettori. In poche parole dagli apparati retorici usati per descrivere questa crisi, i suoi protagonisti, l’ andamento delle trattative.
La retorica è intervenuta spesso in questa trattativa anche in modo ambivalente complicando una situazione già di per sé difficilissima. Alcune dichiarazioni del Ministro tedesco Wolfang Schauble oltre a riflettere le sue convinzioni, parlavano all’ elettorato del suo paese (vedete con quale fermezza difendo i nostri interessi?), ma parlava anche agli elettori di Tsipras che ne percepivano l’ aspetto offensivo, di intransigenza, l’ impossibilità a trattare con uno così.
Su questa crisi è intervenuto anche Obama. A questo proposito viene in mente un episodio raccontato da Schlesinger ne “I mille giorni di Kennedy”. Un giorno invita a cena nella sua residenza presidenziale un suo avversario politico. Tutto si svolge nella massima cordialità. Alla fine, quando l’ interlocutore se ne va, Jacqueline chiede al marito: “Ma come, non era uno dei più feroci avversari politici? Proprio per questa ragione sono mesi che lo odio!” Gli risponde il marito: “Vedi, anche al tuo peggior avversario devi lasciare una via d’ uscita e una via d’ uscita onorevole”. Il problema di questa crisi è anche questo: come trovare una via d’ uscita onorevole per i molti interlocutori che ne sono protagonisti. Ed è anche su questo che, in alcuni casi, si misura la grandezza o la pochezza di un leader politico.















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