Forse bisognerebbe chiedersi perché abbia destato scandalo questo video dell’amministratore delegato dell’ENEL, Francesco Starace. In fondo non fa che descrivere quella che in qualunque grande azienda, pubblica o privata poco importa, è la normale procedura di avvicendamento al potere di un nuovo (gruppo) dirigente, descritta nei giornali o raccontata in decine di film o sceneggiati televisivi. Alla RAI, che io ricordi, ha sempre funzionato così, ogni volta che è stato rinnovato l'”editore di riferimento” in conseguenza di un avvicendamento del potere politico o di una nuova lottizzazione. Dico alla RAI perché è lì che ho lavorato trent’anni ma altri di voi potrebbero testimoniare lo stesso per l’azienda in cui sono o sono stati occupati. L’errore di Starace è quello di esprimersi brutalmente con un linguaggio “bellico”, usando parole come “distruggere”, “gangli di controllo”,”colpire”, “creare paura”, ma la sostanza è quella che ispira lo “spoil system” negli USA come in tanti altri paesi, che emargina col “mobbing” milioni di funzionari e favorisce la carriera di milioni di ruffiani e arrampicatori sociali. Perché dunque lo scandalo? Per il cognome identico a quello di un antico segretario del Fascio? Non credo, mi viene in mente piuttosto il titolo di una canzonetta dell’epoca: “Si fa ma non si dice…” (nandocan)
***di Giovanni De Mauro, direttore di “Internazionale, 26 maggio 2016” – Per chi si fosse perso il video, è un discorso interessante:
Per cambiare un’organizzazione ci vuole un gruppo sufficiente di persone convinte di questo cambiamento, non è necessario sia la maggioranza, basta un manipolo di cambiatori. Poi vanno individuati i gangli di controllo dell’organizzazione che si vuole cambiare e bisogna distruggere fisicamente questi centri di potere. Per farlo, ci vogliono i cambiatori che vanno infilati lì dentro, dando a essi una visibilità sproporzionata rispetto al loro status aziendale, creando quindi malessere all’interno dell’organizzazione dei gangli che si vuole distruggere. Appena questo malessere diventa sufficientemente manifesto, si colpiscono le persone opposte al cambiamento, e la cosa va fatta nella maniera più plateale e manifesta possibile, sicché da ispirare paura o esempi positivi nel resto dell’organizzazione. Questa cosa va fatta in fretta, con decisione e senza nessuna requie, e dopo pochi mesi l’organizzazione capisce, perché alla gente non piace soffrire. Quando capiscono che la strada è un’altra, tutto sommato si convincono miracolosamente e vanno tutti lì. È facile.
Chi parla è Francesco Starace, amministratore delegato dell’Enel, che risponde a una domanda di uno studente su quale sia “la ricetta di successo del cambiamento in un’organizzazione come l’Enel”. Il contesto è un incontro alla Luiss Business School di Roma, il 14 aprile, per un ciclo di conferenze dal titolo “Ad esempio, i giovani incontrano la classe dirigente del paese”, in cui manager e amministratori delegati raccontano le loro esperienze personali.
L’Enel è una delle più grandi aziende italiane per fatturato e ha quasi settantamila dipendenti. Il principale azionista è lo stato, che attraverso il ministero dell’economia controlla il 23,5 per cento del capitale sociale.
È naturale che il suo amministratore delegato sia un esempio per tutti, non solo dentro l’azienda. In questo senso la risposta di Starace è illuminante, perché senza nessuna ipocrisia dà un’idea chiara di cosa il dirigente di un’importante società pensi sia giusto fare per cambiare un’organizzazione, di come interpreti le relazioni aziendali, il clima in un luogo di lavoro, i rapporti tra dipendenti: colpire, distruggere fisicamente, creare malessere, ispirare paura, far soffrire.
Sembra quasi di sentire le parole di Jason Gould, costruttore di ferrovie statunitense vissuto alla fine dell’ottocento: “Posso sempre assumere una metà dei lavoratori perché uccida l’altra metà”.















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