***di Massimo Marnetto, 24 febbraio 2018 – La tesi di Massimo Fini sul Fatto (“Perché l’astensione preoccupa i padroni”) è che l’uguaglianza non ha bisogno di tutela, né di governanti (“gente che paghiamo perché ci comandi”). A riprova, il giornalista cita l’organizzazione sociale dei Nuer, popolazione del Sudan che non ha gerarchie, deducendo da questa particolarità un’uguaglianza perfetta. Fini si legge per apprezzarne le provocazioni. Ma su questo tema – potere, gerarchie e uguaglianza – è bene che rimangano tali, visto che non hanno alcuna attinenza con la nostra complessità.
In democrazia, chi non vota danneggia l’uguaglianza. Che non è una condizione di natura a cui si ritorna disertando le urne, ma una faticosa conquista sociale contro la legge del più forte. Tant’è che per arrivare al dominante che si astiene dal sopraffare l’inerme ci vogliono secoli di cultura, diritto, politica, fino a rendere autonoma la dignità dalla forza, con la conquista dell’uguaglianza.
La democrazia egalitaria, quindi, è un equilibrio molto precario, perché contrastato continuamente dalle forze della diseguaglianza (violenza fisica, educativa, economica). E pertanto ha bisogno di manutenzione continua, perché la legge del più forte è recidivante. Rinunciare alla vigilanza democratica – cioè non votare, né protestare per le ingiustizie – è una cessione di sovranità, che non porta al paradiso dei Nuer, ma alla dittatura.
Quindi caro Fini, come se avessi accettato: ma preferisco difendere la democrazia in Italia.
E andare a votare.















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