Pino Cavuoti , già condirettore di un quotidiano del Molise, deve pagare 12mila euro a seguito di una condanna per diffamazione. “Il mio giornale non c’è più e io non ho i soldi”. Non è l’unico caso, ne ricordo uno anch’io. Molti anni fa, ricevetti una lettera simile da parte di un amico ex direttore di “Paese Sera”, il quale, tra l’altro, non aveva neppure visto l’articolo incriminato. Credo che una nuova legge sulla diffamazione a mezzo stampa, ben diversa da quella attualmente all’esame del parlamento, dovrebbe tener conto di casi come questi. Una ragione di più per invitare tutti a firmare la petizione proposta, fra gli altri, da articolo 21 (nandocan).
***Da ossigenoinformazione.info, 19 gennaio 2015 – Condannato a pagare dodicimila euro a seguito di una condanna per diffamazione a mezzo stampa, il giornalista abruzzese Pino Cavuoti di Vasto (Chieti) ha messo da parte l’orgoglio, ha confessato di non avere quei soldi e ha lanciato una sottoscrizione pubblica. La condanna a versare il risarcimento è stata emessa a maggio 2014 dalla Corte d’Appello civile di Roma in relazione a un articolo pubblicato a gennaio del 2006 dal quotidiano Nuovo Molise. Cavuoti pagherà con i soldi ricavati dalla colletta e grazie a uno sconto sulle spese legali. La sua vicenda non è isolata e dimostra che le sanzioni economiche dovrebbero essere proporzionate al reddito e al patrimonio del condannato, come indica la giurisprudenza europea.
Pino Cavuoti ha 53 anni. È giornalista dal 1995. Per quattordici anni ha lavorato per il Nuovo Molise. È stato condirettore. Ha avuto altre querele. Aveva il suo stipendio, il giornale si faceva carico delle spese legali e delle sanzioni economiche e le condanne erano sopportabili. Poi, nel 2010, la testata ha cessato le pubblicazioni, Cavuoti ha perso il lavoro, il suo reddito è diminuito e la copertura delle spese legali è venuta meno mentre i vecchi processi andavano avanti. Invano ha tentato di fare rinascere il giornale per cui lavorava e di trovare un altro lavoro stabile. Quando gli è arrivata questa ingiunzione viveva scrivendo corrispondenze per l’Ansa dal basso Abruzzo e curando la comunicazione per un ente privato. Quei dodicimila euro non sapeva proprio dove prenderli.
Perciò un mese fa si è fatto animo e si è rivolto ai suoi colleghi giornalisti con una lettera aperta. Senza fare la vittima, senza contestare la sentenza, ha raccontato la sua disgrazia e ha chiesto dei soldi. “Sono a chiedere il vostro aiuto con dignità e senza vergogna, perché possiate aiutarmi – ha scritto – anche con l’invio di un euro, perché altrimenti non saprei come fare a pagare”. La lettera è stata pubblicata da alcuni quotidiani locali e da siti web. Ha smosso i sentimenti di alcuni, che gli hanno mandato qualcosa. Ma soprattutto ha fatto sensazione. Non si ricordano casi simili, di giornalisti che confessano pubblicamente di essere stati messi fuori gioco da una condanna per diffamazione. Nel giro di un mese Cavuoti è il secondo giornalista che, dovendo a pagare un risarcimento per diffamazione superiore alle sue possibilità economiche, si affida alla solidarietà di amici e colleghi, mettendo da parte l’orgoglio che finora è stato un tratto distintivo della categoria.















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