Il problema è che Matteo Renzi, secondo un’opinione diffusa e condivisa dal giornalista del Corriere della sera, Aldo Cazzullo, ieri sera a “Piazza pulita”, non aveva alcuna voglia di fare il segretario del Pd e ha preso parte alle primarie “solo per impedire l’accordo Letta-Alfano”. Comunque, si può sempre sperare in una conversione…(nandocan)
dalla newsletter di Fabrizio Barca, 10 dicembre 2013* – La vittoria di Matteo Renzi, prevista, è stata amplificata dai tre milioni di voti alle primarie, non previsti. È un segno importante per il Pd. Nonostante i guai che ha combinato, oltre il 6 % degli elettori italiani è convinto – al punto di andare a votare alle “primarie”– che questa associazione–partito sia uno strumento che la società può usare per cambiare il paese.
A una prima lettura, questo esito e la vittoria di Renzi appaiono chiare. Ha convinto la proposta secca di un forte rinnovamento generazionale. “E la fine di un gruppo dirigente” ha detto Renzi nella notte. E la scelta della segreteria ne è un primo, positivo segno. A una seconda lettura, nel voto si distinguono due domande: una relativa al governo, una al partito. Da una parte sta la domanda di un governo di cambiamento, prima con una discontinuità nell’azione del governo in carica, poi con il ritorno alle urne. Dall’altro, sta la domanda di dare vita a una nuova associazione-partito, che costruisca valori, visione e proposte, facendo emergere una classe dirigente che possa poi andare al governo del paese.
Non sono due domande incompatibili, se il nuovo Segretario saprà lavorare su entrambe i fronti, ma concentrando impegno e passione sul fronte per cui ha avuto l’incarico, per il quale verrà subito giudicato e da cui dipende la successiva capacità di governare: il partito.
Si sa come la penso. Senza un nuovo partito che maturi una visione di sinistra dell’Italia – dove sinistra vuole dire sia uguaglianza e libertà sostanziale, sia concorrenza e merito, sia lavoro salariato riunificato – e che sviluppi e pratichi un metodo moderno di partecipazione e mobilitazione delle conoscenze e di verifica aperta dell’azione pubblica, non si governa l’Italia. Gli insuccessi degli ultimi 20 anni mostrano che non ci sono scorciatoie. Se viceversa il partito rimane un comitato elettorale e le sue risorse umane nei territori restano inutilizzate, il Pd diventa un problema anziché parte della soluzione. E mancherà all’appuntamento del governo.
Ovviamente l’idea che si debba investire nella qualità e reputazione dell’associazione Pd è estranea ai cattivi consiglieri che si affannano attorno al vincitore. Soprattutto è estranea al ragionare de la Repubblica, intenta a spingere subito Renzi verso il baratro della fretta e della iper-semplificazione: “governare il Pd non è difficile, è inutile”, Renzi “deve andare al più presto alla partita finale”, “basta lasciar fare la strana alleanza Grillo-Berlusconi per far cadere il governo”, commenta oggi dalle sue pagine. Se questi sono amici, guardatene!
In realtà, i primi passi di Renzi fanno pensare che sul partito stia ragionando, anzi che avesse già ragionato. Con la necessaria durezza e guardando sia ai valori, sia al metodo interno. “Stiamo cambiando giocatori non stiamo andando dall’altro lato del campo”, ha detto nella notte dell’8, e la rapidità del ricambio di segreteria mostra a cosa si riferiva. “Non può bastare essere iscritto al club degli amici per avere un ruolo, non sostituiremo un gruppo dirigente con un altro. Cambieremo il metodo. Anzi, ammesso che esista una corrente Renzi, da oggi è sciolta”, ha proseguito mentre l’accoglienza muta della platea, da lui sottolineata, dava veridicità all’affermazione.
Noi associati al Pd, che a Renzi abbiamo dato il 45% dei consensi, favoriremo questa direzione di marcia, questo investimento prioritario sul partito, se appoggeremo e favoriremo il ricambio dei giocatori, e se lavoreremo a costruire dal basso prototipi di un partito nuovo, a ridosso di questioni sociali ed economiche dei territori non dilazionabili. A questo obiettivo darò il mio contributo.















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