La notizia è di un paio di giorni fa. Beppe grillo è stato condannato dal tribunale di Ascoli Piceno a un anno di reclusione (pena sospesa) per aver diffamato un docente dell’Università di Modena. Dovrà anche pagare una multa di 1.250 euro e una provvisionale di 50mila euro alla parte offesa, il professor Franco Battaglia, docente del Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Modena e Reggio Emilia. In un comizio per il referendum sul nucleare tenuto l’11 maggio 2011 a San Benedetto del Tronto, Grillo si era scagliato contro un intervento di Battaglia ad Anno Zero. «Vi invito a non pagare più il canone, io non lo pago più – aveva detto Grillo rivolgendosi al pubblico presente al comizio – perchè non puoi permettere ad un ingegnere dei materiali, nemmeno del nucleare, parlo di Battaglia, un consulente delle multinazionali, di andare in televisione e dire, con nonchalance, che a Chernobyl non è morto nessuno. Io ti prendo a calci nel c…o e ti sbatto fuori dalla televisione, ti denuncio e ti mando in galera». Alla violenza verbale del comico genovese siamo ormai abituati, ma nella sua testimonianza al processo, il professor Battaglia ha riferito anche di danni alla sua auto e di una strana telefonata ricevuta in ateneo prima dell’atto vandalico. Con l’articolo che segue, apparso oggi su “Blitz quotidiano”, Beppe Giulietti non prende le difese del leader di Cinque stelle, ma di un principio, quello dell’abolizione del carcere per diffamazione mediatica. Una pena che la Corte Europea ha più volte invitato l’Italia ad abrogare dal codice penale e che dovrebbe essere abolita in base a una legge che è ferma al Senato in quarta lettura. Nessuno crede comunque che Grillo andrà in carcere “come Mandela e Pertini”(dichiarazione semiseria del comico). Secondo una ricerca di Ossigeno, da ottobre 2011 a maggio 2015, i giudici italiani hanno inflitto condanne a pene detentive per questo reato almeno trenta volte ad altrettanti giornalisti, fotoreporter e blogger, per complessivi 17 anni di carcere. Tuttavia l’esecuzione delle condanne è stata sospesa, tranne che per Francesco Gangemi e Alessandro Sallusti, che hanno scontato alcuni giorni in carcere. In alcuni casi la pena detentiva è stata convertita in multa” (nandocan).
*** , 16 settembre 2015 – Dal momento che abbiamo sempre contrastato la condanna al carcere per il reato di diffamazione questo principio deve valere sempre e comunque per chiunque la questione diventa oggettivamente più rilevante se riguarda una personalità come Beppe Grillo che è anche un protagonista del dibattito pubblico e politico. Per altro la stessa Corte europea da tempo ha ordinato all’Italia di cambiare la legge e abrogare la pena del carcere. La legge per altro largamente insufficiente è ferma al Senato ora più che mai è necessario approvarla, risolvendo anche il nodo delle querele temerarie, diventate una vera e propria arma di intimidazione preventiva contro i cronisti.
Non tutti ovviamente la pensano come me. Riferendosi alla condanna per calunnia inflitta a Grillo dal tribunale di Ascoli Piceno, con relativa ipotesi di condanna al carcere, un giovane amico, liberale immaginario, per altro in linea con lo spirito dei tempi, mi ha così apostrofato: “Mica vorrai difendere anche Beppe Grillo …” Naturalmente deluderò il liberal stalinista, perché chi ha sempre contrastato la previsione del carcere per la diffamazione, non può fare eccezione alcuna, a prescindere dal nome e dal cognome del condannato.
I principi non si difendono solo per i propri sodali o amici di merende. Per altro sono state la Corte europea e le stesse istituzioni comunitarie ad invitare, e non da oggi, l’Italia ad abrogare queste norme. La legge sulla diffamazione è ferma al Senato, in quarta lettura. Volendo si potrebbe stralciare ed approvare subito la norma per l’abrogazione della condanna al carcere e rinviare il resto ad una più pacata riflessione. Nel testo, infatti, non solo non é stata mai risolta la questione dell’uso e dell’abuso delle cosiddette “querele temerarie”, diventate uno strumento di intimidazione preventiva contro i cronisti, ma addirittura si prevede che i processi si svolgano nel tribunale ove risiede il querelante, costringendo editori e giornalisti ad inseguire, magari in più città e più tribunali, indebolendo ulteriormente il diritto alla difesa dei meno ricchi e potenti.
Nel frattempo avanza una legge sulle intercettazioni che non mancherà di gettare nuovi ostacoli sulla strada del diritto di cronaca. Ora che più mai servirebbe davvero una grande iniziativa nazionale a tutela dei valori racchiusi nell’articolo 21 della Costituzione, capace di mettere insieme donne e uomini che ancora credono nel diritto ad informare e ad essere informati, a prescindere da ogni logica di parte, di partito, di cordata. Nel frattempo, e senza ambiguità, diciamo No al carcere anche per Beppe Grillo, che, piaccia o no, è comunque un protagonista, e non marginale, del dibattito pubblico nazionale”.















vedi il commento è molto semplice, qui non si tratta di Grillo o chiunque altro, il problema è che in Italia i giornalisti saranno forse laureati, ma ci vorrebbe per loro anche un esame di logica. Vedere se chi scrive sui giornali e diffonde il suo pensiero…. riesce a capirlo il suo pensiero. Titolo “Grillo condannato in base a una legge che non c’è”.Testo: “l’abolizione della legge è ferma in senato da anni”. Usa il cervello (?): se l’abolizione è ferma significa che la norma è in vigore. Mi fermo prima di fare commenti personali; quanto al resto io SPERO che in Italia arrivi presto una vera e pesante censura.
Mi sono permesso di mettere in italiano un commento scritto evidentemente con troppa fretta per essere meditato. Il titolo non è “condannato per una legge che non c’è”, ma per una legge che non ci sarebbe più”. Se la proposta di legge che prevede l’abolizione del carcere è ferma, significa che la norma è in vigore ma è in facoltà del giudice applicarla o meno, come infatti è avvenuto. Tuttavia l’abolizione del carcere dovrebbe essere già avvenuta, sia perché su questo punto si è già verificata una maggioranza in parlamento, sia perché la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha più volte richiamato il nostro Paese a legiferare in tal senso. Quanto alla drastica conclusione nel merito, mi auguro vivamente che la sua speranza vada delusa.